Negli ultimi giorni, una nuova ondata di arresti arbitrari e illegali di donne e ragazze a Kabul – in particolare nei quartieri di Qala-e-Fathullah e Dasht-e-Barchi – ha nuovamente attirato l’attenzione dell’opinione pubblica mondiale sulla repressione sistematica esercitata dai Talebani contro le donne. L’Unione degli Attivisti per i Diritti Umani in Afghanistan, in un comunicato fortemente critico, ha definito tali azioni “una macchia di vergogna” su un regime che, in nome della religione, calpesta i principi fondamentali dell’umanità e della dignità.
Secondo i rapporti, uomini armati appartenenti ai Talebani rapiscono donne per motivi legati all’abbigliamento, alla presenza in spazi pubblici o anche senza alcuna motivazione apparente, portandole via da strade, mezzi di trasporto e perfino dagli ospedali. Queste azioni non rappresentano semplicemente una forma di controllo sociale o di imposizione religiosa, ma fanno parte di una politica sistematica e organizzata volta a eliminare le donne dallo spazio pubblico e a soffocare la loro voce.
Nel comunicato dell’Unione si legge: «I Talebani non rapiscono solo le donne; hanno preso in ostaggio il futuro stesso: un futuro libero, equo e umano». Il documento paragona le azioni dei Talebani ai crimini commessi dall’ISIS in Siria e Iraq, avvertendo che il silenzio del mondo di fronte a tali atrocità equivale a una complicità indiretta.
Nonostante questi avvertimenti, la comunità internazionale continua a reagire con cautela – e, in molti casi, con silenzio. Un esempio emblematico è la recente decisione della Germania di affidare ufficialmente l’ambasciata afghana ai rappresentanti talebani, una mossa fortemente criticata dagli attivisti per i diritti umani e dalla diaspora afghana. Questa decisione arriva mentre i Talebani continuano a sopprimere sistematicamente i diritti delle donne in patria e a governare attraverso la paura, la censura e la violenza.
Affidare una rappresentanza diplomatica a un gruppo che non ha né legittimità popolare né legittimità giuridica, può essere interpretato come un riconoscimento implicito del loro governo oppressivo e della loro politica di apartheid di genere. Gli attivisti avvertono che il riconoscimento, anche se indiretto, dei Talebani mina i principi fondamentali della democrazia e dei diritti umani, inviando un messaggio pericoloso ad altri regimi repressivi nel mondo.
Infine, l’Unione degli Attivisti per i Diritti Umani sottolinea che la repressione, la tortura e l’umiliazione delle donne in Afghanistan non sono una questione puramente interna, bensì un “crimine organizzato contro l’umanità” che deve essere fermato con una risposta urgente e decisa da parte della comunità internazionale.




